Tiziana Ficacci

LibereLaiche

Mese: gennaio, 2015

La famiglia liquida

Affermi che non hai fratelli. Bene, dimostramelo

Dice il papa che ogni minaccia alla famiglia è una minaccia alla società stessa. Ma chi la minaccia? E’ sicuramente vero che la famiglia numerosa è una mosca bianca e le coppie che raggiungono le nozze di diamante una rarità. I matrimoni durano mediamente 15 anni e la famiglia si trasforma in nuclei monoparentali, combinazioni di diversi nuclei, singoli. La nuova famiglia è una sorta di nido temporaneo che serve per far nascere uno o al massimo due bebè e poi si scioglie il più delle volte senza traumi. E’ la distruzione della famiglia e queste le minacce? Per niente, è solo un adeguamento alla realtà. La famiglia non rappresenta più il centro della vita della persona, quel saldo puntello sul quale contare? Nemmeno, è diventata oscillante nelle sue forme, dondolante tra padri figli compagni fidanzati figli dei fidanzati. Perché si è diventati leggeri e poco seri? Neanche, è che ormai i matrimoni che finiscono, la vita da singoli, i figli da soli, non sono scelte dettate da malessere sociale, ma piuttosto la ricerca di una espressione personale, il non accontentarsi, la ricerca della felicità. E che dire dell’accanirsi della fetta invadente delle gerarchie cattoliche sostenute dai cascami putrescenti della partitocrazia  che cavalcano perfino i registri delle unioni civili dei comuni? Basterebbe dire che sono maleducati, persone che non sanno stare al mondo e passare oltre senza dargli peso. E se l’antimoderna Chiesa cattolica vuole continuare ad occuparsi delle famiglie del presepio lo facesse senza intromettersi nella vita della maggioranza di noi, ma lo Stato non deve decidere se l’omosessualità è un vizio schifoso o uno dei tanti modi in cui si esprime la sessualità, ma deve soltanto prendere nota che è un fatto che riguarda molte persone e deve garantire che chi lo desidera possa sistemare le questioni col suo partner, cioè possa amarla/o e contemporaneamente riversargli la pensione e lasciargli dei beni se li ha. E adeguarsi in fretta perché tutte le famiglie possano esprimersi e vivere serenamente. Perché l’amore conta, e qualunque sia la nostra scelta il cuore non può fermare di battere per le chiacchiere di ipocriti egoisti maleducati.

https://liberelaiche.wordpress.com/2013/05/31/marrazzo/

https://liberelaiche.wordpress.com/2014/02/13/damore-si-vive/

https://liberelaiche.wordpress.com/2014/10/18/le-famiglie-numerose/

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Invece di mai più la domanda è perché ancora?

L’ombra dell’antisemitismo

Sui quotidiani internazionali si parla molto del senso crescente di insicurezza degli ebrei in Europa. La Francia è sicuramente il paese più problematico, con episodi di antisemitismo sempre più violenti, di cui l’ultimo doloroso capitolo è stata la strage del supermercato casher di Parigi. E se l’ebraismo d’Oltralpe si sente ed è sempre più minacciato, è giusto interrogarsi su quale sia la situazione nel nostro Paese. Di fronte a queste domande assume particolare interesse la recente ricerca condotta da due autorevoli ricercatori di fama internazionale, il demografo Sergio Della Pergola e il dottore di ricerca L.D. Staetsky. “Da vecchie e nuove direzioni. Percezioni ed esperienze di antisemitismo tra gli ebrei italiani”, il titolo dello studio di cui anticipiamo in queste pagine alcuni elementi salienti e che l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane presenterà nella versione in lingua italiana nelle prossime settimane. Ad affidare l’analisi al professor Della Pergola, docente di Demografia presso l’Università Ebraica di Gerusalemme, e a Staetsky, che lavora al Dipartimento di Sociologia dell’Università di Cambridge, l’Institute for Jewish Policy Research (JPR), ente di ricerca e think-thank indipendente basato a Londra che indaga i temi strettamente connessi alla comunità ebraica britannica e dei diversi paesi europei. Da qui, Commissionata alla JPR, l’indagine è svolta in collaborazione con il centro di ricerca Ipsos MORI, dall’Agenzia europea dei diritti fondamentali. Ad affiancare Della Pergola e Staetsky nel lavoro di ricerca, un importante team internazionale guidato da Jonathan Boyd della Jpr e di cui hanno fatto parte Eliezer Ben-Raphael (Tel Aviv University), Erik Cohen (Bar-Ilan University), Lars Dencik (Roskilde University), Olaf Glöckner (Moses Mendelssohn Zentrum), András Kovács (Central European University) assieme a Mike Whine e Mark Gardner (Community Security Trust) e a David Feldman (Pears Institute for the study of Antisemitism della Birkbeck University di Londra).

ishot-355I PROBLEMI REALI – La disoccupazione, la corruzione, la crisi economica, il razzismo, la criminalità e l’immigrazione. Prima di parlare di antisemitismo gli ebrei italiani, come tutti gli altri cittadini italiani, sono preoccupati dai molti dei problemi sociali ed economici che flagellano il paese. L’antisemitismo viene solo in settima posizione, precedendo di poco lo stato dei servizi sanitari e l’intolleranza religiosa. Questo non significa che la minaccia del pregiudizio antisemita non sia avvertita. Il fenomeno è visto in ogni caso come un pericolo reale dal 63 per cento dei rispondenti e costituisce comunque un fattore di rilievo. L’aggravarsi della crisi economica e la mancanza di lavoro per i giovani avranno probabilmente ancora accresciuto in questi ultimi mesi la percezione della drammatica situazione sul mercato del lavoro, che costituisce un pensiero condiviso in pratica da tutti.

ishot-356A CONFRONTO IN EUROPA – L’antisemitismo è un problema e una minaccia per tutti. Ma il quadro europeo fa registrare importanti differenze. La percezione degli ebrei italiani (il 63 per cento identifica l’odio antiebraico come un problema) risulta sopra ai minimi registrati fra gli ebrei inglesi (solo il 48 per cento degli ebrei britannici denuncia il fenomeno) e degli ebrei tedeschi (solo il 57 per cento lo vede come un fattore di preoccupazione). Ma la situazione italiana appare molto meno sensibile di quella avvertita dagli ebrei in Belgio e in Francia. Vista da Bruxelles la minaccia mette in allarme il 79 per cento dei rispondenti, mentre a Parigi si arriva all’86 per cento. Se si pensa che le risposte sono state raccolte prima dei gravissimi attentati al Museo ebraico di Bruxelles e dei drammatici fatti di Parigi di questo gennaio, è probabile che la percezione si sia ancora intensificata.

ishot-357CHI SONO GLI ANTISEMITI – Se l’antisemitismo è una minaccia, gli antisemiti, chi sono? Secondo la percezione degli ebrei italiani i criteri prevalenti che portano all’identificazione di un antisemita passano prima di tutto attraverso la negazione della Shoah. Molto forte anche il campanello d’allarme suscitato da chi vorrebbe attribuire la responsabilità della crisi economica agli ebrei e alla pari viene percepito come un odiatore scoperto chi dichiara che gli ebrei sfrutterebbero il dramma della Shoah per il proprio tornaconto. Ma al di là di questa fascia di possibilità, che mette in evidenza casi oggettivamente devianti, patenti e patologici di odio antisemita, in quali altri atteggiamenti si nasconde l’antisemitismo? Nella fascia intermedia entrano in gioco i pregiudizi sull’identità nazionale ed entra in gioco la strumentalità di chi vuole vedere nella crisi mediorientale una responsabilità di Israele e di conseguenza una responsabilità ebraica. Segue un catalogo di piccole aberrazioni dettate dall’ignoranza e dai millenni di sospetto e di separazione ereditata dalla cultura dominante cattolica. Infine un segno positivo e una prova di grande maturità. la ricerca dimostra che gli ebrei italiani a stragrande maggioranza non temono e non vedono con sospetto chi rivolge alla politica israeliana una critica civile e meditata.

ishot-358SALIRE IN ISRAELE, FUGGIRE DALL’EUROPA – Il 20 per cento degli ebrei italiani dichiara di aver preso in considerazione la possibilità di lasciare l’Italia per salire in Israele. Una percentuale fra le più basse fra quelle registrate nelle diverse realtà europee e che si piazza molto al di sotto della media europea, attestata sul 29 per cento. E, più che una misura reale di coloro che sono effettivamente disposti a emigrare in Israele, un nuovo fattore di misurazione della percezione dell’antisemitismo. Gli ebrei francesi che dichiaravano di aver preso in considerazione l’aliyah era del 46 per cento (e gli esperti confermano che probabilmente sarà ancora molto più alta oggi, sotto l’effetto dei drammatici fatti di Parigi). In Ungheria questa percentuale arriva addirittura al 48. Molte forte, di converso, la percentuale del 70 per cento di ebrei italiani che esclude di aver preso in considerazione l’aliyah, un numero che nella media europea cala al 61 per cento. Da notare infine che in Italia il 9 per cento degli interrogati su questo punto, estremamente delicato, ha preferito non pronunciarsi. Si tratta di una percentuale lievemente superiore in questo caso alla media europea.

ishot-359COSA CAMBIA DA ROMA A MILANO – Il rapporto sulla percezione dell’antisemitismo consente fra l’altro anche una lettura sociologica sulla diversa sensibilità manifestata dagli ebrei italiani a seconda dell’area geografica di appartenenza. Appaiono differenze importanti in quanto manifestato dagli ebrei che vivono a Roma, nella maggiore realtà ebraica italiana, in quanto dichiarato dagli ebrei milanese e in quanto avvertito dagli ebrei delle realtà meno numerose. In particolare la percezione di un pericolo di antisemitismo e di una crescita del fenomeno antisemita risulta più acuta nella Capitale. Piuttosto elevata anche la preoccupazione di essere coinvolti in eventi ebraici che potrebbero comportare il rischio potenziale di subire un attacco antisemita. Molto interessanti anche i fattori di differenza che distinguono gli ebrei italiani di fronte alla prospettiva di abbandonare l’Italia per affrontare la salita in Israele. In questo contesto solo il 19 per cento degli ebrei romani dichiara di aver preso in considerazione l’opportunità dell’aliyah negli ultimi cinque anni, contro un ben maggiore 26 per cento espresso dagli ebrei milanesi e un 22 per cento espresso dagli ebrei che vivono nelle comunità minori.

Pagine Ebraiche febbraio 2015

(25 gennaio 2015)

  

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La memoria

Fa tanto bene a ripensà a l’amore/ne li momenti de malinconia/provi ‘na specie de nun so che sia/come n’piacere de sentì dolore (Trilussa)

La memoria è una facoltà straordinaria, forse la più fantastica che possediamo, ma ne sappiamo assai poco. Sappiamo che i nostri ricordi vengono acquisiti attraverso un organo specifico, l’ippocampo, e poi, se tutto va bene, fissati in qualche parte della corteccia cerebrale. Non sappiamo nemmeno come sono scritti i ricordi, cioè conservati in maniera stabile o quasi stabile. Uno dei grandi compiti che i neuroscienziati dovranno affrontare nel prossimo futuro è proprio quello di determinare dove e come sono scritti i nostri ricordi, che prenderanno probabilmente la forma di tracce mentali custodite in un certo numero di cellule nervose, o forse un po’ in tutte. Quello che abbiamo appreso di recente , però, è che queste tracce nervose non rimangono lì inerti e fisse, ma vengono sistemate e riorganizzate di continuo. Tale fatto può stupire perché il modo che a noi sembrerebbe migliore per conservare intatti i ricordi è quelli di non toccarli proprio. Ma non è così: Per conservarli nella maniera più efficace sembra necessario modellarli e rimodellarli in continuazione, diciamo a intervalli regolari, anche perché di ricordi se ne accumulano sempre di nuovi e occorre “spostare” i vecchi per lasciare posto ai nuovi senza perdere né questi né quelli. Che cosa ciò voglia dire è perfino difficile da immaginare, ma le osservazioni sperimentali ci dicono che è così e che il processo in questione non si arresta mai.

Se i ricordi fossero taccuini conservati in un armadio o anche solo file elettronici conservati nella memoria di un hardware, con il passare degli anni l’armadio o la memoria dell’hardware dovrebbero essere sempre più grandi e a un certo momento raggiungere limiti invalicabili, tuttavia sappiamo che non è così. Posso sempre acquisire nuove nozioni o il ricordo di nuovi fatti senza per questo perdere il ricordo della mia infanzia. Non riesco proprio a immaginare come questo sia possibile, ma arrivo a capire come il lavoro implicato in quest’opera sia titanico e allo stesso tempo della massima precisione. Un po’ accade tutte le notti. Il sonno è necessario – senza si muore – ed è necessario in particolare per l’acquisizione e la conservazione dei ricordi. Durante la notte il nostro cervello riesamina tutto quello che abbiamo imparato o percepito durante il giorno, vengono probabilmente eliminati un sacco di dettagli “inutili” e quello che resta viene preparato per l’immagazzinamento. Per ottenere questo occorrerà  fare un po’ di posto per il nuovo senza perdere il vecchio e, soprattutto, senza perdere le connessioni, logiche e meno logiche, fra le varie nozioni e i vari vissuti. Questo misteriosissimo lavorio crea nuovi ricordi e conserva i vecchi, ma soprattutto trasforma le percezioni di ogni tipo in ricordi veri e propri. E’ concepibile che ciascuno abbia un po’ il suo stile. Noi siamo i nostri ricordi e in primo luogo il tipo di criterio utilizzato per far prendere forma di ricordo alle nostre percezioni. Edoardo Boncinelli, La Lettura

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I confini della satira

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Ciglia umide

La giornata della Memoria in Italia è l’ennesima occasione per osservare atteggiamenti reticenti ed ipocriti. Il distratto ignora che il fascismo ha varato leggi razziste (non razziali come comunemente si scrive) nel ’38 senza nessuna protesta pubblica. E’ vero che quegli anni bui hanno conosciuto una discreta solidarietà privata perfino nel clero, ma in tutta Europa solamente i lavoratori olandesi, tra cui i giornalisti, indissero uno sciopero generale contro le leggi antiebraiche introdotte nel loro paese dai nazisti. E’ utile ricordare che La Civiltà Cattolica, prestigiosa rivista dei gesuiti, iniziò fin dal 1936 violentissime campagne antisemite. Oltre ai media esplicitamente legati al Pnf, dal 1938 quotidiani di informazione danno brio a campagne antisemite a partire fino al 1945. Si distinguono La Stampa e il Corriere della Sera e giornali satirici come il Marc’Aurelio. Va detto però che sia il Corriere che Il Messaggero pubblicarono lettere di protesta per la campagna, ma mai prese di posizione da parte dei giornalisti. Interessante anche l’oscuramento di scritti di Alcide De Gasperi e di Giulio Andreotti.

Alcide De Gasperi trascorse buona parte del ventennio fascista lavorando presso la biblioteca vaticana e collaborando con alcune riviste pubblicate dalla Santa Sede. Tra queste “L’illustrazione vaticana”, per la quale lo statista trentino curò la rubrica “La quindicina internazionale”, firmando con lo pseudonimo di Spectator. Sul numero 16 dell’anno 1938 della rivista scrive: “Rebus sic stantibus , ci si deve augurare che il razzismo italiano si attui in provvedimenti concreti di difesa e di valorizzazione della nazione, e che nella propaganda e nella formazione della gioventù, si eviti di cadere nel determinismo vitalista, passerella filosofica che riconduce al materialismo; ed è da credere che l’elemento universalista contenuto nel fascismo può nutrirsi delle vive tradizioni della Roma cristiana che gli offrono il modo di conciliare, è il caso di dire “romanamente” la fierezza del popolo con la sua gentile umanità”. E riguardo agli ebrei italiani, De Gasperi interpreta gli intenti del regime spiegando che “discriminare non significa perseguitare” e “che il governo fascista non ha nessun piano persecutorio contro gli ebrei”, ma penserebbe soltanto ad una specie di “numerus clausus”. Nel 1938 non era possibile criticare il fascismo senza conseguenze, ma, per rimanere in ambito cattolico, don Sturzo lo fece. Il ruolo di De Gasperi nella costruzione della democrazia è innegabile, ma pure innegabile sono i suoi scritti del 1938 sui quali i suoi esegeti preferiscono tacere.  Similmente il suo epigono che “tanto ha fatto per l’Italia” Giulio Andreotti. Nel 1942 un suo lungo e sbrodoloso articolo su “La Rivista del Lavoro”  commentando il congresso della Società italiana per iil progresso delle scienze, i cui delegati furono ricevuti da Pio XII. Bene, scrive Andreotti sul tema della razza: “La società viene così concepita come un tutto, un corpo omogeneo, di cui lo Stato costituisce l’organizzazione giuridica trovando nelle finalità supreme della nazione o della razza la giustificazione perentoria della propria autorità, quella giustificazione che è viceversa impossibile trarre dalal società, quando questa è concepita, liberalisticamente, come molteplicità di fini e di voleri”. Interrogato sull’argomento Andreotti non potendo smentire l’articolo dichiarò di non ricordare che fosse inerente a un convegno sulla razza altrimenti non poteva aver avuto la benedizione di Pio XII, altra bella lana di individuo come è noto.

Ogni anno, in occasione della giornata della Memoria escono articoli sulla nobile figura di Pio XII. Questo scrissi alcuni anni fa su papa Pacelli e confermo.  Il giudizio sulla figura di Pio XII dovrebbe tenere conto del suo silenzio su tutta la storia d’Europa fin dall’ascesa del fascismo in Italia e del nazismo in Germania. Pio XII diventa papa nel 1939, ma prima è stato Segretario di Stato e in questo ruolo ha attuato il concordato con il regime nazista nel 1933. Non risulta essersi mai speso in quegli anni a favore dei tedeschi che si opponevano a quel regime, cattolici e non. Anzi, l’allora cancelliere Bruening scrive nelle sue memorie che il Segretario di Stato Eugenio  Pacelli, futuro Pio XII, premette per un intervento di Hitler  a fianco dei falangisti nella guerra civile spagnola. Tra i primi atti del suo pontificato è documentato l’avvicinamento a Charles Maurras (i cui scritti erano stati messi all’indice durante il pontificato di Achille Ratti-Pio XI) promotore del gruppo francese di estrema destra e antisemita Action Francaise. La Santa Sede si riserva di aprire gli archivi bloccando la ricerca storiografica, ma al momento risulta che nessuna parola sia stata scritta da papa Pacelli contro la creazione dei campi di concentramento e poi di sterminio, in cui dieci milioni di ebrei europei, zingari, omosessuali, cittadini russi trovarono la morte. Una precisazione doverosa perché la stampa vaticaliana tende ad accreditare che l’unico silenzio di Pio XII abbia riguardato il treno che trasportava più di 1000 ebrei romani rastrellati il 16 ottobre ’43 mentre contemporaneamente salvava qualche centinaio di ebrei facendoli ospitare, spesso dietro cospicui compensi, in chiese e conventi di Roma. E’ vero invece che il suo silenzio ha riguardato milioni di ebrei e non, vittime del nazismo. La beatificazione di Pio XII riguarda solo gli ebrei?  Sicuramente sul piano dei fatti storici sono i più coinvolti emotivamente, ma sul piano religioso la questione dovrebbe riguardare i cattolici ai quali viene indicato a modello una figura come minimo controversa.  Le gerarchie cattoliche  insistono che il silenzio di Pio XII sarebbe stato motivato dal fatto che un intervento pubblico da parte del Vaticano,  anziché frenare, avrebbe ulteriormente intensificato lo sterminio in atto nel cuore dell’Europa. Ma questo argomento non spiega perché, neanche dopo la fine della guerra e nel lungo periodo del pontificato (il papa morì nell’ottobre del 1958), non sia mai arrivato alcun riferimento a quanto accaduto. E soprattutto non si comprende perché un analogo timore non frenò il papa, nel luglio del 1949, dallo scomunicare comunisti e socialisti nonostante l’enorme potere allora esercitato dall’Unione Sovietica. Sono domande che dovrebbero porsi tutti, e non solo gli ebrei come accade..

https://liberelaiche.wordpress.com/2014/01/27/amalek/

http://www.ibs.it/code/9788806148775/gerbi-sandro/tempi-malafede-una.html

http://www.corriere.it/opinioni/15_gennaio_21/domande-scomode-sull-antisemitismo-10594b44-a143-11e4-8f86-063e3fa7313b.shtml

http://forum.roma.corriere.it/una_citta_mille_domande/19-01-2015/smemorati-ogni-giorno-2596912.html

Online due opere di Claude Lanzamann – La Memoria in streaming

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Un calcio dove non batte il sole

 

Non esitiamo a dire che un bambino è cristiano o musulmano, eppure non ci sogneremmo mai di dire che un bambino è marxista. Con la religione si fa una eccezione (Richard Dawkins)

I laici che non sanno contestare il complesso di superiorità dei cattolici, diminuiscono anche l’efficacia della propria battaglia ideale e politica… la loro modestia davanti alle fedi sminuisce il principio di laicità, l’unico che possiede quella compiuta universalità e assolutezza che le fedi pretendono per se stesse (Guido Calogero)

Prima del massacro all’ipercacher parigino, il primo ministro socialista Manuel Valls, nato a Barcellona, intervistato dalla rivista americana Atlantic ha detto che il posto degli ebrei di Francia è la Francia. Ha spiegato “La Rivoluzione francese decise nel 1789 di riconoscere agli ebrei la piena cittadinanza. Per capire che cosa significhi l’idea di Repubblica è necessario capire il ruolo centrale rappresentato dalla loro emancipazione. Se 100mila francesi di origine spagnola se ne andassero, non direi che il Paese è cambiato. Ma se 100mila ebrei francesi emigrassero, la Francia non sarebbe più la Francia”.  Nel 1787 l’Accademia delle arti e delle scienze di Metz (capoluogo della Mosella) mise a concorso un premio per la migliore esposizione sul tema “c’è modo di rendere gli ebrei più felici e più utili alla Francia?” Nel tardo Settecento si temeva che la religione non gli consentisse di accettare le leggi francesi e l’idea corrente era quella di “rigenerare” questa etnia, togliendogli le abitudini alimentari, la ritualità, la prospettiva della Terra promessa. Il premio per il contributo più originale venne assegnato a Zalkind Hourwitz, un venditore ambulante che veniva da uno shtetl della Polonia che aveva una idea ben diversa: il sistema per rendere gli ebrei felici e utili? Smettere di renderli infelici e inutili. Leggiamo: “non sono gli ebrei, ma i cristiani che li temono che bisognerebbe rigenerare. Offrire la possibilità di scegliersi una attività e rendere possibile l’accesso alla cittadinanza. Cittadini come gli altri, lavoratori come gli altri, ben presto gli ebrei si integreranno nella collettività dei cristiani senza per questo rinunciare alla loro identità religiosa. Occorre vietare ai rabbini l’esercizio di qualsiasi potere al di fuori della sinagoga; bisogna aprire ai bambini le porte delle scuole pubbliche, proibire l’uso dell’ebraico nelle transazioni commerciali”. Le tesi di Hourwitz sembrarono così buone ai funzionari della monarchia borbonica che il 23 maggio 1789 (50 giorni prima della presa della Bastiglia) l’ambulante ebreo diventò il conservatore dei libri e dei manoscritti orientali presso la Bibliothèque royale. Anche se l’emancipazione ottenuta dagli ebrei nel 1791 durante la rivoluzione venne quasi azzerata da Napoleone, le idee dell’ambulante giudeo si radicarono velocemente in quel Paese, mentre in Italia, come si sa, fino alla caduta dell’asfittico Stato pontificio nel 1870 gli ebrei erano segregati.

E’ difficile dire che oggi la Francia sia in grado di proteggere i suoi cittadini, anche se la strada percorsa da quel Paese, cioè trattare tutti allo stesso modo anche se di diverse etnie e religioni, sembra essere l’unica percorribile e al contempo quella che maggiormente l’espone.

Riconoscere la superiorità della laicità e del pensiero libero è complicato per l’Italia dove la religione cattolica è una branca fondamentale della vita politica e sociale. L’esasperante spazio che viene riservato dall’informazione – anche quella della rai – al papa, oltre a essere giornalisticamente irrilevante (che senso può avere dedicare minuti a un aereo che sta per atterrare), le continue visite dei politici italiani (un messaggio di benvenuto dal presidente incaricato al papa per il rientro dal dopo una assenza di pochi giorni) ha un solo significato. Questo paese si identifica col cattolicesimo e se hai altra filosofia sei tollerato. Puoi pagare le tasse ma sei uno che si deve adattare a vedere la messa nella tv che finanzi. Un Paese che pensa di essere democratico dovrebbe emanciparsi dai voleri di una religione. Quando la Repubblica arriverà a comprendere che la libertà di pensiero di ognuno è l’ossatura di una solida democrazia? 

 

 

 

Il giorno dopo  

Cosa rimane dentro più a lungo e più in profondità?/Di paure strane, di dure battaglie/O di tremendi assedi di cosa resta più in profondità (Walt Whitman)

Politici e media contribuiscono a creare una atmosfera confortevole e sicura ai religiosi (pubblici) – anche ai terroristi in nome del fidesimo – perché promuovono l’idea della fede come verità assoluta. Obbligandoci poi tutti ad un rispetto eccessivo delle religioni. (mille vole l’ho scritto)

Sam Harris, autore de La fine della fede, sostiene che il maggiore pericolo per il libero pensiero e la civiltà oggi sia il fondamentalismo islamico, ma che non bisogna sottovalutare il pericolo cristiano (nelle sue diverse denominazioni), entrambe fedi che negano la realtà tangibile, per la sofferenza che creano in obbedienza ai loro miti religiosi e per la loro fedeltà a un Dio di fantasia. Tuttavia lo studioso è ottimista e afferma che presto guarderemo ai tempi in cui si credeva in Dio come oggi guardiamo al periodo in cui si riteneva che la schiavitù fosse normale. Per il momento la situazione è drammatica perché il mondo – tutto – è sempre più secolarizzato e sempre più è il peso che i media danno alle religioni, una disconnessione tra quel che le persone vivono e quel che viene raccontato alimentando paure e tabù. Molti, stimolati dalla plumbea atmosfera cavalcata dall’onnipresente Salvini con l’apprezzamento di un numero ben più ampio del suo bacino elettorale, si sono convinti che qualsiasi musulmano viva sulla terra sia lì pronto con la scimitarra per decapitarci. Anche il papa ha detto che a un insulto si reagisce con un pugno, già lo sapeva chi ricorda la storia della sua denominazione religiosa. Per i musulmani fanatici e il capo dei cattolici non si satireggia, non si ironizza, non si disegna. Noi chiamiamo musulmani le persone che sono nate in una area geografica, come noi italiani siamo (visti) tutti cattolici. Nei talk chiedono ai musulmani di chiedere scusa e prendere le distanze, non sfuggendo a quel rito odioso che vuole che gli ebrei chiedano scusa per i misfatti eventuali di Israele (una sovrapposizione senza senso), ma si guardano bene dal fare – come giusto – l’equazione che tutti i cattolici siano evasori fiscali o sanguisughe come nei vertici della Cei.  Per un breve periodo della mia vita ho lavorato all’assessorato alla multiculturalità fortemente voluto dall’allora sindaco di Roma Veltroni e mai è arrivata una richiesta per aumentare i luoghi di preghiera o separazione in palestre o regimi alimentari speciali nelle scuole, ma piuttosto luoghi di incontro per il tempo libero più autobus sicurezza, le stesse cose che chiedevano i romani. E una  richiesta e mai evasa nella città che anela ogni due per tre alle olimpiadi: un campo da cricket, sport nazionale per molti asiatici. Ma invece di raccogliere le istanze dei lavoratori, le istituzioni scelgono di parlare con i rappresentanti dei gruppi religiosi, forse convinti di essere aiutati nella lotta al fondamentalismo. E per inseguire i pochi criminali, la maggioranza di persone per bene,  i laici, vengono tagliati fuori da qualsiasi dialogo. Meglio sarebbe avere regole certe per ogni cittadino (anche italiano) senza tenere in nessun conto né il paese d’origine, né la religione.  Ma anche la Chiesa deve fare un passo indietro, dalla intromissione nella scuola alla vita politica pubblica alla informazione. Altrimenti come si può pretendere che i musulmani non avanzino richieste affini? Ad esempio questa arrogante esposizione del crocefisso sui muri della scuola e in molti uffici pubblici dovrebbe offendere prima di tutti gli stessi cristiani-cattolici, perché per chi è credente vederli in quei luoghi ha un solo significato: tu qui non appartieni anche se lavori qui e questa è la tua classe e ti devi ricordare ogni secondo della giornata che qui non sei una persona come le altre ma un ospite mal tollerato. E a parole non è ciò che i cristiani cattolici affermano di volere. Le religioni possono (potrebbero) offrirci qualcosa solo se sono disposte ad accogliere ciò che l’occidente ha maturato e sancito come la soglia invalicabile, quella dei diritti umani, (che comprendono anche il dovere e il diritto alla privatezza).

 http://www.uaar.it/la-fine-della-fede

 

 

Ammalarsi

I rivoluzionari sono quelli che ribaltano posizioni convenzionali e consolidate, ideologiche, di comodo o addirittura false, mostrandone l’inadeguatezza attraverso un’opera di scavo intorno alle radici delle cose (Giuseppe Laras)

Grazie a Emma Bonino che ancora una volta è riuscita a darci spunti di riflessione su questioni importanti della nostra vita. Ci vuole coraggio per parlare a piena voce della malattia, argomento sgradevole che nessuno vuole ascoltare, probabilmente per paura. Nel solco della sua brillantissima vita politica, Bonino ha mostrato di avere piena fiducia nella ricerca scientifica come è giusto che sia, ricordando che gli esami di routine sono fondamentali, unendosi e incoraggiando i malati come lei che affrontano una sfida che è capitata http://www.radicalparty.org/it/rnn-news/53/news/emma-bonino-annuncia-di-essere-malata

http://www.avantionline.it/2015/01/emma-anche-tu/#.VLYvsSuG-DQ

Le persone malate hanno bisogno di cose pratiche – qualcuno che pensi alla loro casa, che vada in banca, che si occupi dell’assicurazione – , ma soprattutto hanno bisogno di affetto, rassicurazioni, credibili bugie. Troppo spesso chi cura un malato grave si annulla, e arriva a sentirsi colpevole per la sua morte anche se ha seguito alla lettera i consigli di medici e infermieri.  I caregivers – si chiamano così quelli che assistono i malati terminali o molto gravi – assorbono come spugne tensioni, dolori, sofferenze, e in genere non riescono a scaricarle. Difficilmente i parenti, gli amici, i colleghi sono disponibili ai racconti estremi che riguardano la vita di un malato al punto finale. Ho assistito un malato terminale che amavo e so che l’intimità del dolore vissuto insieme è stato il lievito per conservarne un affettuoso ricordo. Mia madre, di cui non ricordo nessun gesto di tenerezza, ora che assiste il marito anziano ha slanci affettuosi che mi commuovono e imbarazzano. Mi addolora pensare ai miei cugini che si sono sposati e hanno avuto figli con un padre già fortemente provato da una malattia che ha avuto nel corso degli anni molti bassi. Nel nostro Paese si usa spesso e a sproposito la parola eroe, a parte che avere bisogno di eroi non mi sembra una gran cosa perché l’ideale sarebbe avere persone che si comportano normalmente anche davanti alle cose complesse, ma se qualcuno merita questo aggettivo probabilmente sono proprio le persone che assistono i malati.

Poi c’è la morte e il lutto, e lì veramente si è soli con il dolore.

http://moked.it/blog/2015/01/13/charlieisrael/

http://moked.it/blog/2015/01/13/invidia-3/

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Ah saperlo

Cosa penseranno gli studenti del futuro quando leggeranno sui libri di storia che nel 2015 a Parigi qualcuno è stato ucciso per aver difeso il diritto di ridere e far ridere? E cosa ne pensano gli studenti di oggi educati a ridere di nascosto e abituati a considerare una risata durante le lezioni come un’eccezione o un’anomalia? Come far capire loro che ridere può essere una cosa maledettamente seria? Non è affatto facile, e in effetti ho l’impressione che i miei allievi non abbiano considerato con troppa attenzione chi è stato ucciso a Parigi e perché. Forse, come tutte le cose serie, anche il riso deve essere insegnato. O, se non altro, è importante insegnare quanto possa fare paura. (Anna Segre, insegnante)

Scegli dunque la vita (Deuteronomio 30:19)

Cosa rimarrà dell’imponente commovente emozionante orgogliosa grandiosa manifestazione parigina? Accantoniamo la becera prestazione di rainews24 che nella lunga diretta (tv/web) non è stata capace di riconoscere la maggioranza dei rappresentanti dei Paesi, spesso presidenti o primi ministri che pure arrivavano con la bandierina sulla macchina, e i corrispondenti rai che dicono razza invece che etnia, anche se prima o presto una decisione su questo ente inutilmente costoso andrebbe presa. Ma queste sono miserie italiane che conosciamo bene e di cui è meglio non parlare quando si deve essere seri e onesti ponendosi domande complicate.

Sarà in grado l’Europa di trovare se stessa dandosi una propria identità guardando in avanti e dicendosi dove vuole andare?

Gli ebrei francesi che come i canarini dei minatori hanno fiutato il pericolo per primi tanto da lasciare il paese in migliaia ogni anno, saranno rassicurati da Hollande? Riuscirà il presidente a ricucire la crepa con questa grande comunità dopo il silenzio indifferente sui morti di Tolosa e i numerosi atti di antisemitismo? http://www.italialaica.it/news/rassegnastampa/35558

Le religioni non possono essere accusate per colpe che non hanno – questo lo fanno i leader populisti e xenofobi supportati dai loro giornalacci – ma devono porsi il problema di quello che succede in loro nome e di come impedirlo. L’amatissimo (dai media) papa Francesco che parla di questo e di quello, potrebbe ricordare come, fino a pochi anni fa, attraverso la conversione anche violenta nei confronti di chi cattolico non era né voleva diventarlo usava mezzi estremamente violenti, ad esempio con la chiusura di interi gruppi nei serragli. http://www.uaar.it/battesimi-forzati A Roma oltre al perimetro del ghetto c’è la casa dei catecumeni con la chiesa accanto, quanti seguaci del cattolicesimo religione di pace sanno il dolore di chi lì veniva rinchiuso e obbligato a convertirsi? E non sono le crociate né l’inquisizione spagnola, è una storia a noi molto vicina. Ebbene, sulla scia di sangue versato il cattolicesimo sta, con fatica e lentamente, entrando nella civiltà, forse potrà farlo anche un’altra fede.

Si riuscirà a confinare le religioni nel privato, le preghiere come momenti personali e mai pubblici, patetici esibizionismi che offendono i sentimenti delle persone religiose per bene con le stucchevoli preghiere di politici per la pace e bla e bla?

Arriverà l’ora che nelle scuole si educherà al valore della laicità? Perché insegnare idee dogmatiche alimenta più spesso il fanatismo che non coltivare il dubbio e la libertà del pensiero.

Senza paura, perché se abbiamo paura moriamo ogni giorno un pò. E ridere, anche di un disegno banale: ridere è un modo diverso di piangere, ma soprattutto è un modo per dire che la morte non avrà l’ultima parola. Neanche quella del pensiero libero.

Piccola nota: Giuseppe ha sfilato a Parigi insieme ai suoi cugini francesi.

Chari Pere

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per gli altri libri di Caffiero

http://www.loccidentale.it/node/114605

http://80.241.231.25/Ucei/PDF/2015/2015-01-12/2015011229267604.pdf

http://www.ilpost.it/davidedeluca/2015/01/08/tre-cose-che-mi-hanno-fatto/

http://cronachelaiche.globalist.it/Detail_News_Display?ID=114411&typeb=0&Dietro-la-copertina-insanguinata-di-Charlie

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http://80.241.231.25/Ucei/PDF/2015/2015-01-12/2015011229267658.pdf

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http://80.241.231.25/Ucei/PDF/2015/2015-01-12/2015011229267798.pdf

http://www.huffingtonpost.it/massimo-bray/la-cultura-contro-il-terr_b_6452244.html?utm_hp_ref=italy

 

Comportamenti cacher

Oggi ci sembra giusto prendere un’ideale navicella, come quella sui cui lavora Samantha Cristoforetti, e scattare una foto dall’alto a tutto quello che ogni giorno facciamo con noncuranza, come un gesto abituale che ha poco peso. Svegliarci (da sole o, se ci va, in compagnia), truccarci, metterci i tacchi, prendere la macchina e guidare fino al lavoro. Gesti banali, come passarci una mano tra i capelli o baciare un amico mentre siamo in strada, andare al cinema o a cena tra ragazze, scattare un selfie, amare un uomo, una donna, Dio, un cane e persino noi stessi. Scelte grandi o piccole su cui ci arrovelliamo spesso soffrendo, ma scelte, quindi espressioni in libertà. Tutto questo siamo diventate negli ultimi 50 anni, e la strada, per chi la vuole guardare senza pregiudizi, non è stata facile, ma oggi siamo qua a scrivere di come si possa vivere anche da sole senza venire nascoste in casa o in un convento. Siamo nate libere soltanto di pensare, oggi però le nostre figlie sono libere di scegliere cosa fare.

Quello che ci gira intorno in questi giorni nella sua cruda drammaticità mette definitivamente in cantina tutte le inutili polemiche contro il femminismo e la presunta fine della sua forza propulsiva. E ci dice chiaramente che la sfida coraggiosa e solitaria di una ragazza diventata premio Nobel per la pace è la nostra sfida. Ora l’attacco alle libertà ci viene portato dentro casa e nessuno può fare più finta di niente. Tra le tante libertà di cui godiamo, quella conquistata dalle donne occidentali viene considerata da queste ideologie estremiste, che praticano la sottomissione, particolarmente intollerabile. Tocca a noi, tutte insieme e senza distinzioni, far sentire che non siamo disposte a indietreggiare di un solo passo. Costi quel che costi. Antonella Baccaro  

http://forum.corriere.it/supplemento-singolo/ 

http://www.huffingtonpost.fr/pauline-bebe/oui-on-peut-rire-de-dieu-de-nos-prophetes-de-nos-sages_b_6446710.html?utm_hp_ref=france

Quando muore un ebreo gli amici e i parenti fanno la keriah, uno strappo nel vestito, a sinistra vicino al cuore, che si conserverà fino al settimo giorno di aveluth. Tante parole per definire il dolore: ‘etzev è il dolore del parto, ma anche quello morale. Keev è il dolore fisico, ma dalla stessa radice deriva la parola makh’ov che indica il disprezzo, l’oppressione. Tza’ar è il dolore che viene inflitto agli animali. Nel Talmud si racconta la storia di un uomo punito con gravi sofferenze per aver respinto un vitellino che si nascondeva sotto la sua tunica per sfuggire al macello, perché, così facendo crudelmente gli indicava che il macello era lo scopo stesso della sua nascita. Uno invece per aver salvato un topo dai colpi della scopa fu consolato dalle afflizioni. Però non c’è una parola che indica il dolore per la morte che è la parte più dolorosa della vita.

http://www.italialaica.it/news/rassegnastampa/35558

 

 

Rosa fetida, bellissima ma puzzolente

Rosa fetida, bellissima ma puzzolente

 

 

 

 

 

Cominciamo l’anno così (2)

E in fondo perché no? Perché non andarcene da questo brutto posto in un paese nuovo, dove sia per così dire possibile  ricominciare da zero (Nathan Zac, Sento cadere qualcosa) In questi giorni l’astrologia vive il suo momento magico. Il Cicap (Centro italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale fondato nel 1989) ha gioco facile nello smentire le previsioni fatte lo scorso anno. Tra le previsioni “bucate” il principe azzurro ecc. ecc. per lo Scorpione.  Pare che sei italiani su dieci credano agli astri e sembra che ogni giorno 18 milioni di italiani incominciano la loro giornata dopo aver consultato l’oroscopo ascoltandolo alla radio in auto mentre vanno al lavoro o gettando uno sguardo distratto a qualche giornale. Tanto tempo fa, gli oroscopi erano appannaggio di papi e sovrani. Papa Innocenzo VIII, studioso delle stelle, invitò nella sua residenza – che allora era il Quirinale – il filosofo e astrologo Tommaso Campanella proprio per discutere sul futuro del mondo. William Shea, studioso dell’opera di Galileo Galilei, dice che lo scienziato pisano “faceva l’oroscopo per se stesso, per sapere come comportarsi con le due bambine e un adolescente, figli della sua compagna Marina Gamba che aveva incontrato a Venezia”.  Si racconta che Giovanni Keplero, che nella sua vita compilò ben 800 oroscopi, non ci credeva. Mentre il matematico Girolamo Cardano ci credeva così tanto che avendo pronosticato il giorno della propria morte e trovandosi ormai vicino alla profetica data indicatagli dalle stelle, per non sbugiardarsi decise di lasciarsi morire di fame. Roberto Donzelli, storico dell’astrologia, afferma che si è passati dall’oroscopo personalizzato a quello di massa nel Novecento. L’anno di svolta fu il 1930, quando con la nascita di Margaret, la sorella di Elisabetta, i Windsor fecero pubblicare sul Times il suo quadro astrale. Come la principessa ogni suddito voleva il suo oroscopo. Nei Cinquanta – Sessanta gli oroscopi invasero i giornali e nei Settanta il boom. Le scoperte scientifiche hanno messo seriamente in discussione le ipotesi su cui si basa chi fa le predizioni. Ora si sa che le stelle che sembrano trovarsi in una costellazione non sono veramente in un gruppo. Alcune di esse sono nella profondità dello spazio, altre sono relativamente vicine. Perciò le caratteristiche zodiacali delle varie costellazioni sono del tutto immaginarie.  Molti superstiziosi vogliono sapere notizie sulla salute e è inutile dire che l’interpretazione degli influssi astrali sui malanni è a dir poco complicata: c’è il rischio di fare la fine di chi legge l’enciclopedia medica e si convince di essere il campionario vivente di tutte le malattie immaginabili. Il mese di nascita influenza il carattere anche secondo la scienza: la quantità di luce assorbita nelle prime settimane di vita produce effetti indelebili sui neuroni ancora puri dei neonati, però questo non ha niente a che vedere con l’astrologia, ma piuttosto si tratta di “biologia stagionale”. Leggere l’oroscopo non fa male (anche se come fanno rai e mediaset metterlo in coda ai tg pare troppo), il problema nasce quando l’astrologia si ammanta di scienza. Nel libro Astri e disastri di Till Neuberg (Fazi) si racconta di aziende che assumono o no a seconda del segno zodiacale e si racconta di politici che si affidano alle stelle prima di prendere importanti decisioni!

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http://www.avantionline.it/2015/01/germania-pegida-razzismo-xenofobia-antisilam/#.VKzscyuG-DQ