Ricordando Giordano Bruno


 Nell’anno santo 1600, Giordano Bruno, filosofo di fama europea, venne arso come eretico in Campo de’ Fiori. Per più di un secolo la sua memoria appartenne a pochi, fino all’800, quando Bruno fu riscoperto dall’Italia risorgimentale e trasformato in un martire dell’oscurantismo religioso, simbolo della libertà di pensiero e della tolleranza. L’immagine che la cultura italiana si è costruita di lui, subito dopo l’Unità, è un pezzo significativo della costruzione dell’identità italiana.

 

Roma 9 giugno 1889, domenica di Pentecoste, piazza Campo de’ Fiori è pavesata con stendardi colorati. Tutt’intorno alla piazza grandi tabelloni dove sono scritte frasi pronunciate da Bruno, come “tremate più voi nel pronunziare questa sentenza che io nell’ascoltarla”. Si inaugura il monumento a Giordano Bruno. Il filosofo è avvolto nel saio domenicano, un libro socchiuso fra le mani, il cappuccio abbassato sul viso, pensieroso e raccolto, in una severità accentuata dal bronzo della statua. L’iscrizione dice “A Bruno, il secolo da lui divinato qui dove il rogo arse”.  Un corteo parte da piazza Esedra (oggi piazza della Repubblica) alle 9. Secondo i giornali cattolici sono meno di cinquemila, per il Messaggero ventimila. In testa al corteo i reduci garibaldini, poi  il rettore e i professori dell’università di Roma, i rappresentanti delle università straniere, i membri della municipalità con il sindaco di Roma, le associazioni di Nola, le logge massoniche. Mancano esponenti del governo presieduto da Francesco Crispi, ma sfilano molti deputati. Il percorso del corteo, che passa per via Nazionale e piazza Venezia prima di entrare in Campo de’ Fiori, è salutato festosamente dai romani. L’oratore ufficiale della cerimonia è il repubblicano Giovanni Bovio, deputato dal 1876, massone. Come massone e anticlericale è Ettore Ferrari, deputato liberale e scultore del monumento. Al termine della cerimonia il corteo si reca al Campidoglio per rendere omaggio al busto di Garibaldi.

Una giornata memorabile per Roma, nera per il clero. Il papa, che aveva minacciato di lasciare la capitale qualora fosse stato scoperto il monumento, passa la giornata digiuno e prostrato davanti alla statua di san Pietro mentre “l’idra rivoluzionaria debaccava per le strade della città”.   Il 29 giugno, festa dei santi Pietro e Paolo, in tutte le chiese di Roma si celebrano messe di riparazione, e l’aristocrazia romana si reca per una funzione in san Pietro. Il 30 giugno il papa Leone XIII  denuncia l’oltraggio fatto alla Chiesa considerando il bronzo di Bruno il simbolo di “una lotta ad oltranza contro la religione cattolica”.  Civiltà cattolica, la rivista dei gesuiti, ascaro dell’attacco al mondo moderno, scrive che la statua di Bruno “segna il trionfo dei rabbi della Sinagoga, gli archimandriti della Massoneria e i capiparte del liberalismo demagogico”.  La piazza Campo de’ Fiori  “deve rinominarsi Campo Maledetto in attesa che al posto del monumento si erga una Cappella di espiazione al Cuore Santissimo di Gesù”.

E’ equo ricordare che la proposta di rimuovere la statua di Bruno dalla piazza fu avanzata dalla stampa cattolica nel 1929 in occasione della stipula dei Patti Lateranensi, incontrando però l’opposizione di Mussolini. Che peò fece calcinare la lapide in ricordo di Giuditta Tavani Arquati, eroina della Repubblica Romana, voluta dal sindaco Ernesto Nathan e che viene ricordata il 25 ottobre , giorno in cui fu uccisa barbaramente dagli zuavi pontifici.

Tiziana Ficacci