Ripeterlo (quando sta per iniziare la scuola) giova -2
“Frate, frate, libera Chiesa in libero Stato”, secondo alcune fonti sarebbero state le ultime parole ancora attuali del liberale e cattolico Cavour
Per lo storico Carlo Cardia con i Patti lateranensi del 1929 “si concluse il cammino di conciliazione tra Stato e Chiesa superando alcuni limiti del Risorgimento”. In quel periodo in Italia erano state soppresse tutte le libertà: di voto, di stampa, di associazione. Erano questi i limiti del Risorgimento?
Come simbolo di una tradizione nazionale, l’esposizione del crocifisso nelle scuole e nei tribunali fu resa obbligatoria in Italia, a partire dal 1923, da un regime totalitario, che predicava un’etica anticristiana, anche se siglò un concordato con la Chiesa cattolica per confermare il cattolicesimo come religione di Stato, considerandolo una espressione della tradizione italiana e un prodotto storico della romanità. Il duce che volle l’esposizione obbligatoria del crocifisso nelle scuole sosteneva che l’impero romano era stato il presupposto storico del cattolicesimo, perché se fosse rimasto in Palestina, affermava il duce, la religione di Cristo sarebbe stata soltanto “una delle tante sette che fiorivano in quell’ambiente arroventato… e molto probabilmente si sarebbe spenta senza lasciar traccia di sé”. Tale interpretazione delle origini del cattolicesimo fu dichiarata eretica da Pio XI. Come tutti sanno il crocefisso è ben saldo sui muri delle scuole pubbliche, così come in parecchi uffici pubblici. L’Italia è un paese complicato, laico ma con una Costituzione che contempla l’anacronistico per una democrazia articolo 7, dove i giudici non vogliono la parete bianca ma apporre anche altri simboli, dove sedicenti laici, spesso atei che hanno bisogno di una definizione per rappresentarsi, protestano perché non viene garantita l’ora alternativa all’ora facoltativa di religione, dove la controparte è la Chiesa cattolica che parla di tutto. Ma mai di transustanziazione o altri misteri pure interessanti per persone curiose come me. Gli italiani, soprattutto se romani, sono abituati alle chiese ai preti e alle suore onnipresenti, al cupolone che si vede dalla finestra, inciampano nella croce talmente spesso che neanche la notano e, a forza di sentirlo dire, ci siamo convinti dell’assurdità che è il simbolo della nostra cultura al pari del tricolore e della foto del Presidente e ci caratterizza come la tazzina di caffè la pizza e il manico di bambù della borsa Gucci. Perfino le gerarchie della SS sostengono che è un simbolo culturale così come l’ora di religione altro non è che un approfondimento della cultura italiana. Non quindi una religione ma un modo di vivere, e chi pensa che il posto giusto per una croce non è il muro della scuola respinge un pezzo fondamentale dell’identità nazionale. Quando si accredita che un simbolo religioso rappresenta la tradizione, l’abitudine, la consuetudine, addirittura l’identità, quando si sostiene che se non ti piace non lo guardi tanto non significa niente, vuol dire che non c’entra con la religione, e che presto finirà come finiscono le usanze. Una mattina ci sveglieremo e ci accorgeremo che imbiancando i muri dei tribunali, delle scuole, degli uffici pubblici, non è stata riappesa l’immagine, e constateremo che era una cosa che non serviva , inopportuna, come oggi la mia cartella di (vera) pelle verde delle elementari sarebbe fuori epoca sulle spalle dei ragazzini che utilizzano zainetti colorati. Su questo modo di trattare uno dei loro simboli religiosi, i cattolici tacciono. E’ forse un segno che sono molto meno numerosi di quel che si pensa?
Sla e beneficenza
Un comunicato stampa vaticano ha reso noto che finalmente, così come fanno tutti i paesi, anche la Santa Sede ha fatto avere 1 milione di $ ai rifugiati iracheni in Kurdistan. Il 75% della cifra è stata versata ai cristiani e il 25% agli yazidi. Diffuso il comunicato, al quale i media italiani hanno dato la stessa enfasi che andrebbe riservata ad una notizia importante, il papa ha pensato bene di dire che la beneficenza va fatta senza pubblicizzarla. Molti media ci hanno visto una critica al gesto buffonesco del nostro premier che ha aderito a quella sorta di catena di santantonio, inventata dal fondatore di facebook, che consiste nel gettarsi un secchio di acqua gelida in testa per raccogliere fondi per la sla. Nel nostro paese – si sono già rinfrescati Fiorello e la bella Belen – sono stati raccolti 70mila €, negli Usa 53 milioni di €. Matteo Renzi ha invitato ad aderire alla campagna i direttori dei tg per tenere viva la notizia ogni giorno. Vabbè, anche se non sarebbe stato male un ricordo di Luca Coscioni malato di sla e che ha dedicato la sua breve e sfortunata vita a lavorare perché il sistema sanitario fornisse le strumentazioni utili ai quei malati come l’indispensabile puntatore oculare, oltre alla richiesta di finanziare la ricerca scientifica con le staminali. E’ equo ricordare che negli Usa alcune diocesi cattoliche hanno chiesto ai fedeli di boicottare questa campagna perché i promotori chiedono la ricerca anche con staminali embrionali. In autunno la nostra Corte Costituzionale dovrà esprimersi sul loro uso. A quel punto Renzi si verserà ancora un secchio di acqua gelida in testa o gelerà la ricerca?