Comportamenti cacher

di liberelaiche

Oggi ci sembra giusto prendere un’ideale navicella, come quella sui cui lavora Samantha Cristoforetti, e scattare una foto dall’alto a tutto quello che ogni giorno facciamo con noncuranza, come un gesto abituale che ha poco peso. Svegliarci (da sole o, se ci va, in compagnia), truccarci, metterci i tacchi, prendere la macchina e guidare fino al lavoro. Gesti banali, come passarci una mano tra i capelli o baciare un amico mentre siamo in strada, andare al cinema o a cena tra ragazze, scattare un selfie, amare un uomo, una donna, Dio, un cane e persino noi stessi. Scelte grandi o piccole su cui ci arrovelliamo spesso soffrendo, ma scelte, quindi espressioni in libertà. Tutto questo siamo diventate negli ultimi 50 anni, e la strada, per chi la vuole guardare senza pregiudizi, non è stata facile, ma oggi siamo qua a scrivere di come si possa vivere anche da sole senza venire nascoste in casa o in un convento. Siamo nate libere soltanto di pensare, oggi però le nostre figlie sono libere di scegliere cosa fare.

Quello che ci gira intorno in questi giorni nella sua cruda drammaticità mette definitivamente in cantina tutte le inutili polemiche contro il femminismo e la presunta fine della sua forza propulsiva. E ci dice chiaramente che la sfida coraggiosa e solitaria di una ragazza diventata premio Nobel per la pace è la nostra sfida. Ora l’attacco alle libertà ci viene portato dentro casa e nessuno può fare più finta di niente. Tra le tante libertà di cui godiamo, quella conquistata dalle donne occidentali viene considerata da queste ideologie estremiste, che praticano la sottomissione, particolarmente intollerabile. Tocca a noi, tutte insieme e senza distinzioni, far sentire che non siamo disposte a indietreggiare di un solo passo. Costi quel che costi. Antonella Baccaro  

http://forum.corriere.it/supplemento-singolo/ 

http://www.huffingtonpost.fr/pauline-bebe/oui-on-peut-rire-de-dieu-de-nos-prophetes-de-nos-sages_b_6446710.html?utm_hp_ref=france

Quando muore un ebreo gli amici e i parenti fanno la keriah, uno strappo nel vestito, a sinistra vicino al cuore, che si conserverà fino al settimo giorno di aveluth. Tante parole per definire il dolore: ‘etzev è il dolore del parto, ma anche quello morale. Keev è il dolore fisico, ma dalla stessa radice deriva la parola makh’ov che indica il disprezzo, l’oppressione. Tza’ar è il dolore che viene inflitto agli animali. Nel Talmud si racconta la storia di un uomo punito con gravi sofferenze per aver respinto un vitellino che si nascondeva sotto la sua tunica per sfuggire al macello, perché, così facendo crudelmente gli indicava che il macello era lo scopo stesso della sua nascita. Uno invece per aver salvato un topo dai colpi della scopa fu consolato dalle afflizioni. Però non c’è una parola che indica il dolore per la morte che è la parte più dolorosa della vita.

http://www.italialaica.it/news/rassegnastampa/35558

 

 

Rosa fetida, bellissima ma puzzolente

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